2 Tempo di lettura 8 apr 2021
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Un piano strategico di accelerazione per il Paese

Da EY Italy

Multidisciplinary professional services organization

2 Tempo di lettura 8 apr 2021

Quali sono i motivi del ritardo infrastrutturale italiano e come invertire questa tendenza? Un focus sul Recovery e Resilience Plan e su cosa serve per investire meglio e più velocemente

A cura di Dario Bergamo, EY Mediterranean Government & Infrastructure Leader, 
Antonella Scardino, EY Associate Partner Infrastructure & Transportation

Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, posto nell’ambito del più ampio intervento europeo “Next Generation EU” mirato al sostegno della ripresa e alla transizione verso una società sostenibile e innovativa, con la sua dotazione di 750 mld€ di cui 209,9 mld dedicati all’Italia, costituisce l’occasione per ridisegnare il futuro del nostro Paese. Ma quali sono le condizioni di partenza? Quali i limiti di sistema da superare? Quali i rischi? Quali le grandi opportunità? 

Parlare di piano strategico di accelerazione per il Paese significa in primo luogo definire la visione dell’Italia nell’orizzonte 2030-2050, immaginare l’evoluzione della società, dell’economia, dell’industria e dell’ambiente. A partire da ciò, è possibile ideare e programmare le iniziative necessarie a rendere concreta tale visione. Nel difficile compito di ideazione e pianificazione degli scenari futuri, è necessario tener presente le condizioni di partenza del sistema infrastrutturale italiano i punti di forza e gli aspetti che storicamente hanno rappresentato dei limiti alla crescita e allo sviluppo.

Il sistema infrastrutturale italiano (stradale, marittimo, ferroviario, intermodale), che ai primordi rappresentava un esempio di ingegneria e innovazione, ha subito lentamente gli effetti di una carenza manutentiva (alcuni esempi sono, il periodico insabbiamento dei porti, il crollo del Ponte Morandi), di un’inerzia al rinnovo (basti pensare che più del 50% di ponti e gallerie hanno superato la vita utile dell’opera) e di una lentezza del percorso di estensione e diffusione mirata e capillare all’intero Paese (il Sud ad oggi non è ancora servito dalla rete ferroviaria ad alta velocità - che è concentrata sulla linea Nord -Sud fino a Napoli/Salerno - e deve confrontarsi con lunghi tempi di viaggio a causa della scarsa capacità, reliability e frequenza dei servizi ferroviari).

Tra i limiti allo sviluppo infrastrutturale italiano potremmo annoverare la debolezza del ruolo di indirizzo strategico-pianificatorio dell’assetto infrastrutturale nazionale da parte del regolatore pubblico (che ha portato in alcuni casi alla realizzazione di opere a basso impatto sul sistema economico-sociale del Paese), i modelli di governance con meccanismi di allocazione di responsabilità e SLA non chiari su aspetti critici (quali, ad esempio la gestione manutentiva) e squilibrati nella ripartizione tra finanziamenti statali e servizi dei concessionari. Aspetti che, insieme ad un sistema burocratico-amministrativo pesante in cui il rilascio di pareri e autorizzazioni per nuove opere può richiedere mesi se non anni e ad un’inerzia alla sperimentazione dell’innovazione attraverso l’uso di nuove tecnologie e digitale nella catena di progettazione, realizzazione, monitoraggio e controllo nonché al lancio di iniziative di partenariato pubblico privato, hanno determinato di fatto uno sviluppo infrastrutturale poco incisivo sull’economia reale del Paese e sulla società.

I limiti devono rappresentare un monito ai rischi da gestire e mitigare nella progettazione e nell’implementazione della nuova strategia di sviluppo infrastrutturale del Paese attraverso ad esempio, robuste analisi di impatto delle iniziative per assicurarsi che si tratti di iniziative ad alta priorità per il futuro nazionale, semplificazione del percorsi autorizzativi (la Commissione unica centralizzata con l’uso della conferenza dei servizi unificata anche digitalizzata, potrebbe essere un punto chiave), monitoraggio tecnico-economico dei progetti opportunamente digitalizzato e che segua una pianificazione basata sul raggiungimento di milestone intermedie oltreché di target finali in modo da garantire controlli più frequenti che seguano il progressivo avanzamento degli step progettuali con project manager indipendenti e estremamente qualificati.

Tratta la giusta esperienza dalle condizioni di partenza, dai limiti e dai rischi che caratterizzano il quadro e il contesto infrastrutturale del nostro Paese, è fondamentale cogliere questa grande opportunità del recovery e resilience plan. Quindi, su cosa puntare? Coerentemente con le linee strategiche definite a livello europeo, il nostro Paese può e deve puntare su interventi infrastrutturali di transizione verde, transizione digitale e potenziamento della coesione sociale da includere nel PNRR.

In un Paese in cui è preponderante il trasporto su gomma (90% passeggeri, 51% merci) e in cui la congestione di traffico ai valichi ha raggiunto livelli critici (ben 223 Mln di tonnellate merci transita cross border attraverso le Alpi su strada), significativa è la responsabilità del trasporto sulle emissioni GHG, e importante deve essere quindi, la risposta per la transizione verde. Risposta, che passa prepotentemente per lo sviluppo di modalità di trasporto “pulite”, quali quella ferroviaria. Il potenziamento dell’infrastruttura ferroviaria articolato con molteplici iniziative tra cui l’eliminazione degli attuali colli di bottiglia di rete e dei punti a bassa performance che determinano una riduzione di capacità e causano interferenze tra traffico passeggeri e merci, il potenziamento delle linee ad alta velocità/capacità, l’upgrading di linee di connessione interne e dei principali nodi metropolitani per riduzione dei tempi di percorrenza, fornirebbero una spinta concreta allo shift modale sia nel comparto merci sia in quello passeggeri.

Altro ambito significativo per la transizione verde è quello marittimo. L’impronta ambientale e le emissioni causate dai porti, per effetto sia delle navi stazionate in banchina che delle operazioni portuali, impattano negativamente sulla qualità dell’aria e sull’inquinamento sonoro delle città, vista la localizzazione dei porti italiani in prossimità delle aree urbane. Una nave da crociera attraccata ad una banchina in 10 ore produce una quantità di CO2 pari a 25 automobili di media cilindrata in un anno, immettendo nell’aria diversi altri inquinanti (NOx, SOx, CO, ecc). Inoltre, l’assorbimento di energia di una grande nave da crociera è circa equivalente a quello di una città di 80.000 abitanti. Gli interventi di elettrificazione dei Porti e il set up di sistemi di alimentazione delle navi ferme in banchina con corrente elettrica fornita da terra (c.d. Cold ironing) sfruttando fonti rinnovabili, consentirebbe una consistente riduzione dell’inquinamento. Chiara attenzione in fase di progettazione strategica dell’iniziativa, deve essere posta sulla filiera energetica, da rinforzare a livello Paese per garantire un effetto di sistema vantaggioso anche in termini economici.

Margini di miglioramento ambientale sono ravvisabili anche nel comparto del trasporto aereo. L’estensione della digitalizzazione del sistema di gestione del traffico aereo per l’efficientamento dei percorsi di volo, decolli e atterraggi potrebbe contribuire ad una riduzione dei tempi e dei consumi di carburante, riducendo del 10% l’impatto dei viaggi aerei sull’ambiente secondo le aspettative del progetto di ricerca europeo “Single European Sky ATM Research” (SESAR).

La transizione digitale, può rappresentare il secondo punto cardine della strategia italiana sulle infrastrutture, basti pensare all’introduzione di sistemi tecnologici innovativi standardizzati di monitoraggio per il controllo remoto della sicurezza infrastrutturale della rete stradale e i lavori (viadotti, ponti, tunnel e sopra-passaggi) in un contesto caratterizzato da un’elevata anzianità della rete, in particolare di ponti e viadotti (il 50% ha superato la vita utile) e da una conoscenza parziale dello stato di usura delle specifiche infrastrutture. Interventi da coadiuvare a rivisitazioni del “framework delle competenze e responsabilità” degli attori coinvolti, prevedendo in particolare una maggiore responsabilità per lo Stato in tema di lavori su ponti e viadotti ricadenti su strade nazionali e principali strade urbane.

L’accelerazione di iniziative basate su tecnologie/sistemi innovativi, quali ERMTS, European Rail Traffic Management System, con copertura al 4,2% della rete ferroviaria italiana 2020 e con una prospettiva di completamento al 100% della rete entro il 2035, rappresenterebbe una solida base per garantire uno spazio unico europeo dei trasporti grazie all'interoperabilità ferroviaria soprattutto sulle nuove reti europee ad alta velocità.

Non ultimo, il costo delle inefficienze logistiche, stimato in € 70Milardi all’anno, 30 dei quali derivanti da burocrazia e ritardi nella digitalizzazione [1] che potrebbe essere notevolmente ridotto con la digitalizzazione della catena logistica integrata su una piattaforma nazionale con standard di interoperabilità per le imprese logistiche e le PA. Digitalizzazione che consentirebbe un miglioramento di efficienza delle operazioni logistiche e del flusso di informazioni legate alla movimentazione delle merci (semplificazione amministrativa), superando attraverso la pianificazione di una roadmap condivisa e coerente i limiti derivanti dalla logica per competenze verticali dei sistemi pubblici della logistica in Italia (PMIS, Sportello Unico Doganale, PCS, PIC, PIL, PNL) e la frammentazione delle piccole e medie imprese che caratterizzano il comparto logistica-trasporto italiane.

Sulla priorità della coesione sociale, possiamo ravvisare nuovamente un importante ruolo dello sviluppo infrastrutturale, in particolare, di quello ferroviario e marittimo italiano.

Il primo realizzabile per colmare il divario nord/sud e aree interne; il Sud ad oggi infatti, non è servito dalla rete ferroviaria ad alta velocità (che è concentrata sulla linea Nord -Sud fino a Napoli/Salerno) e deve confrontarsi con lunghi tempi di viaggio a causa della scarsa capacità, reliability e frequenza dei servizi ferroviari. Interventi di estensione delle linee ad Alta velocità/capacità ferroviaria al SUD, incremento del livello di elettrificazione della rete e di stazioni del Sud per eliminare gli attuali colli di bottiglia e i divari tecnologici rispetto alla rete nazionale, fungerebbero da enabler di competitività e connessione delle principali città e del sistema logistico intermodale (ferrovia-aeroporti-porti).

Il secondo sviluppo, realizzabile con mirati interventi di potenziamento dell’infrastruttura portuale (quali, dragaggi per potenziare l’accessibilità lato mare, progetti di elettrificazione delle banchine per incrementare la capacità di movimentazione anche su ferro, costruzione di nuovi moli e terminal/piattaforme logistiche per incrementare la capacità) e dell’intermodalità (connessione di ultimo/penultimo miglio ferroviario e stradale per miglioramento dell’accessibilità inland) farebbero da volano per un rilancio dei porti italiani nel contesto europeo ed internazionale garantendo un progressivo incremento delle movimentazioni merci e passeggeri via mare e una possibile e contestuale accelerazione dell’attrazione di investitori nelle aree ZES, realizzando così una vera e propria azione “de facto” di politica industriale per il Mezzogiorno.

 

[1] Study of CDP Think Tank “Can Italian ports still be strategic?”, October 2020

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Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza costituisce l’occasione per ridisegnare il futuro del nostro Paese.