Solo a dicembre 2020, su 444mila occupati in meno rispetto a dicembre 2019, 312mila erano donne.
Dopo la disruption innescata dalla pandemia occorre ripensare la nostra comunità a partire dalle sue questioni strutturali. Azzerare il gender gap è il punto di partenza per costruire un Better Working World. L’8 marzo rappresenta sempre l’occasione per fare un punto della situazione, ma l’impegno nella promozione della parità di genere deve essere costante nella società civile, così come lo è all’interno di EY. Dobbiamo favorire una cultura inclusiva capace di valorizzare le diversità individuali, a partire da quelle di genere, perché le donne rappresentano una risorsa centrale in tutto il mondo, ad ogni livello. In Italia, e altrove, le donne hanno risentito pesantemente degli effetti della pandemia in particolare sull’occupazione, aggravati anche dall’indebolimento di alcuni servizi essenziali come la scuola.
Questa crisi ci ha insegnato molto, a partire dall’idea che in un mondo iperconnesso come quello di oggi, tutto può essere causa di tutto. Per questo, dal mio osservatorio, voglio richiamare l’attenzione proprio sull’emergenza occupazionale delle donne in Italia e del gender gap annesso. Un tema centrale per il futuro del Paese, da inserire nel più ampio ventaglio delle lotte per l’uguaglianza tra gli individui e da ritenersi prioritario.
Purtroppo bisogna parlare di un’emergenza nell’emergenza. Esiste infatti un pericolo dietro l’angolo che, col finire del mese di marzo e il conseguente stop al blocco dei licenziamenti, potrebbe sconvolgere ulteriormente la vita di migliaia di italiane.
Stiamo parlando di migliaia di volti che, in un mercato del lavoro tradizionalmente meno aperto all’occupazione femminile, troveranno un ulteriore ostacolo nel perseguimento del proprio progetto di vita. Queste difficoltà emergono anche da una stima OECD, secondo la quale nell’ultimo trimestre del 2020 il tasso di disoccupazione femminile del nostro Paese arriva al 10% (mentre per gli uomini si ferma all’8,4%). Un dato che deve far riflettere se paragonato alla media UE che, nel caso delle donne, non supera l’8% (7,1% per gli uomini) mentre in alcuni Stati virtuosi, come la Germania, vale appena il 4,6%. L’Italia si trova ad affrontare una grande sfida culturale, resa ancor più urgente dalla disruption generata dalla pandemia. Siamo di fronte ad un problema sociale e all’urgenza di interventi repentini. È importante che ogni attore presente nel mondo del lavoro, nella sua azione quotidiana, sappia essere proattivo e in grado di liberare il potenziale inespresso delle donne. Il Paese deve tenere conto della condizione svantaggiata di migliaia di italiane e dare finalmente soluzioni.
Tutti dobbiamo concorrere ad un cambio di rotta e lasciare spazio alle diversità, una ricchezza tutta da valorizzare. Il Governo in carica, però, ha un ruolo centrale e può fare molto in questo senso. I prossimi mesi e il potenziale espresso dal Recovery Plan saranno cruciali per l’adozione di riforme radicali capaci di colmare il gender gap in Italia. La sfida è chiara e non possiamo permetterci di rinunciare al capitale umano rappresentato dalle donne.