L’Europa sta rimodulando la sua rotta verso la decarbonizzazione: il Clean industrial deal, il patto per l’energia pulita presentato dalla Commissione europea a fine febbraio, rappresenta soltanto un tassello di questo cammino. L’obiettivo, com’è noto, è fissato: ridurre le emissioni nette di gas a effetto serra di almeno il 55% entro il 2030 e del 90% entro il 2040 rispetto ai livelli del 1990. “Attualmente siamo intorno a un 38% di riduzione delle emissioni, un livello non esattamente in linea con l’obiettivo stabilito per il 2030”, osserva Marco Duso, EY Italy and Emeia sustainability leader. “È importante tuttavia evidenziare che stiamo compiendo un salto metodologico nell’approcciare questa transizione, sia a livello pubblico che privato. Un salto verso un approccio molto più pragmatico”
Il Clean industrial deal va in questa direzione. “Segna un cambiamento strategico di paradigma, perché contribuisce a spostare l’attenzione da politiche basate sulla riduzione del rischio e sulla compliance verso le opportunità che la sostenibilità - e la decarbonizzazione in particolare - genera in termini di creazione del valore”, sostiene Duso. “La domanda non è più come decarbonizzare, ma come vincere a livello competitivo in un mondo che decarbonizzerà. L’azione climatica può impattare su diverse dimensioni economiche. Non è soltanto un tema di costi, ma anche di ricavi, efficienza, attrazione dei talenti e valorizzazione del business”. Le aziende stanno di fatto adottando piani d’azione concreti per affrontare i rischi connessi al climate change e trasformarli in opportunità di crescita.
Secondo l’ultimo EY Global climate action barometer 2024, condotto su oltre 1.400 società in più di 50 paesi, il 41% sta già contribuendo al raggiungimento degli obiettivi mondiali di decarbonizzazione, mentre il 21% ha intenzione di farlo in futuro. “Sono ormai consapevoli che la decarbonizzazione non è solo una necessità, ma un’occasione per innovare e crescere”, dice Duso. “Tra l’altro, il 99% delle realtà italiane prese in esame fa disclosure delle informazioni relative alle loro azioni di sostenibilità, in particolare sul clima”. Il panorama, restando sul Belpaese, non è però omogeneo. “In Italia si tende a dibattere ancora di compliance e di costi, a livello di discussione pubblica, invece che di crescita ed efficienza”, dichiara Duso. “Un certo numero di aziende ha bypassato la fase di compliance e ha iniziato a vedere la decarbonizzazione come un tema di business, mentre altre sono rimaste indietro. Credo sia arrivato il momento, per loro, di esaminare tutte le opportunità”.
Il Clean industrial deal mobiliterà infatti oltre 100 miliardi di euro per sostenere i processi manifatturieri puliti, un’occasione per le piccole e medie imprese finora rimaste alla finestra. Senza dimenticare che la sostenibilità è, in linea di principio, una leva per attrarre investimenti. “C’è da dire che l’approccio Esg (Environmental, social, governance) - che considera non solo i tradizionali indicatori finanziari ma anche l’impatto ambientale, sociale e di governance - si basa tendenzialmente sulla misurazione dei rischi, ma mi aspetto che sempre più investitori archivieranno i rating e guarderanno ai modelli di business meglio posizionati per vincere in futuro”, auspica Duso. Poi conclude: “Si sente dire a volte che stiamo arretrando sull’azione climatica, ma non è così. Grandi Paesi come Cina, Inghilterra e Brasile che stanno aumentando la loro ambizione in preparazione a Cop30 (la Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici in calendario a novembre a Belém, in Brasile, ndr). Aziende energetiche insospettabili stanno incrementando il budget destinato alla decarbonizzazione. È terminata l’epoca in cui sostenibilità costituiva un mero onere economico: siamo entrati nell’era in cui è sinonimo di value creation”.
(Articolo pubblicato lo scorso 5 giugno su Repubblica)
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