2 Tempo di lettura 2 ago 2023

Con che occhi guarderemo al futuro dell’Italia?

Da EY Italy

Multidisciplinary professional services organization

2 Tempo di lettura 2 ago 2023

Siamo qui perché tutti i dati ci mostrano che l’Italia dispone di una finestra stretta per accelerare in modo profondo la propria trasformazione

Queste le parole con le quali Massimo Antonelli (CEO di EY in Italia) ha aperto il digital talk EY Italy Outlook 2023 e che ben sintetizzano il leitmotiv che ha contraddistinto l’evento.

Rappresentanti delle istituzioni e del mondo dell’impresa si sono riuniti per discutere del futuro del Paese e del sistema produttivo con tre particolari focus:

  • disegnare la traiettoria di cosa è stato e cosa dovrà essere fatto a tema PNRR e di come questo strumento possa diventare un moltiplicatore di valore sostenibile;
  • guardare allo scenario industriale italiano cercando di costruire le linee guida per quella che sarà la nuova politica industriale in un contesto nel quale le imprese stanno attraversando un’importante fase di trasformazione;
  • misurare l’attrattività del sistema Italia, attraverso l’analisi degli Investimenti Diretti Esteri (IDE) nel 2022, per comprendere come si possa rendere il Paese maggiormente attrattivo ad occhi stranieri.

È proprio con quest’ultimo punto che Massimo Antonelli, CEO di EY in Italia, ha dato il via al dibattito: nel 2022 l’Italia ha infatti confermato la crescita della propria attrattività per gli investimenti diretti esteri segnando il +17%, dato superiore a quello registrato da Germania, Regno Unito e Francia (le tre maggiori economie europee). Il numero di progetti di investimenti diretti esteri (IDE) annunciati si è attestato a 243, cifra più che raddoppiata rispetto alla situazione pre-Covid.

Certo, non tutte le notizie sono positive e il margine di crescita è ancora ampio.

La quota di mercato europea dell’Italia rimane infatti piuttosto limitata (4%) soprattutto se messa a confronto con Francia e Germania (rispettivamente il 21% e il 14%).

Se da un lato questi numeri certificano quale deve essere la direzione del sistema Italia per il prossimo futuro, dall’altro bisogna certamente comprendere come in un contesto multipolare e di grandi cambiamenti come quello attuale, un ruolo rilevante è anche quello del sistema produttivo, ovvero dalle aziende, che dovranno sempre più essere in grado di navigare queste grandi trasformazioni.

Fare leva sull’innovazione per creare nuovi modelli di business e stimolare la crescita. Ma anche non rinunciare a quel naturale processo di internazionalizzazione tipico di un mondo globale e globalizzato. Le aziende che oggi trainano il sistema stanno applicando una formula basata su: export, competenze di fascia alta, ricerca e investimenti in tecnologia. È questo il modello che, nel periodo in cui si sono modificati assetti consolidati, ha trovato, spesso prima dei propri competitor internazionali, la chiave per generare l’80% delle esportazioni e del valore aggiunto del Paese. Questo dato ci fa ben capire quanto ancora ci sia bisogno di lavorare in tal senso, ma al contempo ci dice chiaramente su quali leve far forza.

Il terzo e ultimo punto dal quale non può che passare il futuro del Paese è il PNRR. Secondo una ricerca EY-SWG, condotta su manager privati e pubblici (che verrà ripresa in seguito) emerge un messaggio molto chiaro: l’entusiasmo iniziale va scemando e ora il Piano non viene più percepito come la panacea per tutti i mali strutturali del Paese bensì lo strumento per intervenire su specifiche aree.

Insomma, l’Italia, tra pandemia e tensioni geopolitiche, ha dimostrato di saper reagire e crescere più di altri Paesi (questo anche grazie al traino di un sistema industriale resiliente che spesso ha saputo trasformare in anticipo i modelli di business per generare nuovo valore).

Ma ora tocca guardare al futuro con grande concretezza.  

Dalla resilienza al rilancio: come fare del PNRR un moltiplicatore di valore sostenibile?

Di PNRR si parla tanto, ma troppo spesso in termini di polemica politica e non con la concretezza propria di uno strumento che senz’altro rappresenta una leva importante per il futuro del Paese.

A dare una visione d’insieme, partendo proprio dalla ricerca realizzata da EY insieme a SWG, ci ha pensato Dario Bergamo, Responsabile Mercati Regolati di EY in Italia.

Partiamo dai dati della survey.

Come anticipato in precedenza, l’indagine evidenzia una percezione dei manager privati e pubblici sul PNRR piuttosto diversa. Si rileva infatti un calo della fiducia sulla capacità di mantenere la promessa iniziale: soltanto il 39% dei manager privati (era il 52% nel 2021) e il 28% dei manager pubblici (era il 50% nel 2021) lo considerano uno strumento capace di trasformare radicalmente il sistema Paese.

Le principali criticità riscontrate dagli intervistati sono:

  • la frammentazione degli interventi sul territorio in capo a numerosissimi soggetti attuatori, prevalentemente enti locali (in particolare i Comuni, responsabili del 53% dei progetti e ai quali sono destinati finanziamenti per il 47% della dotazione PNRR);
  • la fragilità amministrativa di questi soggetti (oltre alla mancanza di personale specializzato);
  • la mancanza di strumenti informativi adeguati dei soggetti attuatori;
  • la limitata esperienza nella gestione dei fondi europei da parte delle imprese (39% dei manager pubblici intervistati) e la complessità delle procedure di attuazione e rendicontazione (69%);
  • le tempistiche attuative ristrette e le difficoltà di coordinamento tra i diversi livelli delle PA coinvolte (principale criticità rilevate nel mondo pubblico, rispettivamente 64% e 57%).

Nella fase attuale quindi le aspettative riposte nel PNRR risiedono perlopiù nella capacità di realizzare interventi specifici e mirati che diano respiro al sistema economico concentrandosi sulla realizzazione di nuove infrastrutture digitali e fisiche, strumenti avanzati di know how per la gestione degli investimenti e incentivi alle imprese (focalizzati per filiera e concentrati su quelle più innovative).

A queste si aggiunge poi uno dei principali punti di svolta potenziale nella messa a terra del PNRR, ovvero il rafforzamento di più efficaci meccanismi di cooperazione tra pubblico e privato che ad oggi appaiono ancora limitati.

Ed è proprio sul PNRR che ha preso la parola il Ministro per gli Affari europei, per le politiche di coesione e per il PNNR, Raffaele Fitto.

Secondo il Ministro, infatti, il PNRR impatterà senz’altro sui dati macroeconomici dei prossimi anni da un punto di vista quantitativo. Ciò a cui bisogna fare attenzione però e che ci sia altrettanto riguardo per le tempistiche e per la qualità della spesa.

La direzione non deve essere quella di tanti piccoli interventi, bensì di una visione più ampia che metta insieme PNRR e Fondi di Coesione (così come è stato fatto). A questo si aggiunge poi la necessità di tenere conto che il Piano ha avuto origine prima dell’invasione dell’Ucraina ed è quindi necessaria una valutazione per capire in quale direzione vogliamo andare (e la scadenza per tali modifiche è fine agosto).

A questo proposito l’intervento più rilevante riguarda senza dubbio l’ambito del REPowerEU. Il Governo sta lavorando insieme alle partecipate (Eni, Enel, SNAM, Terna) su progetti di investimento che rafforzino l’autonomia strategica sul fronte energetico, ridisegnando il ruolo dell’Italia nel modificato (e più complesso) contesto geopolitico.

Il REPowerEU avrà poi il compito di rendere strutturali alcuni investimenti, attraverso ad esempio un sistema di incentivi che favorisca l’efficientamento energetico a sostegno di famiglie e imprese.

Ciò va in parallelo poi con la necessità di fare un’analisi sulla capacità reale di completare gli interventi entro giugno 2026. La scelta di avere una visione unica del PNRR con i Fondi di Coesione parte proprio dal presupposto per il quale se ci sono alcuni interventi che non riusciranno ad essere completati entro giugno 2026 bisognerà riprogrammarli con i Fondi di Coesione.

A chiusura di questo primo panel è poi intervenuto Dario Lo Bosco, Presidente di RFI (parte del gruppo FSI, principale affidatario dei fondi PNRR).

RFI che, oltre a gestire 4000 cantieri con investimenti pari a 42 miliardi di euro (soprattutto destinati a nuove infrastrutture e miglioramenti della rete), ha presentato una novità assoluta per il gruppo: una nuova modalità digitale per i processi di progettazione ed esecuzione del Piano con tecnologia in 4D e 5D che monitora tempi, costi, eventuali anomalie e previene l’infiltrazione della criminalità organizzata. Alla prevenzione e alla sicurezza si aggiunge poi il terzo elemento necessario, ovvero l’efficienza dei trasporti. E per farlo lo Stato dovrà riuscire a garantire una gestione sempre più ottimale di eventuali criticità, motivo per il quale RFI ha dato vita ad un nuovo piano emergenziale in caso di neve, in collaborazione con il Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, ANAS e la Protezione Civile in un’ottica sempre più organica e omogenea.

Tra nuova politica industriale e aziende italiane: quali trasformazioni ci porteranno nel futuro?

Il secondo dei tre panel dell’evento EY Italy Outlook 2023 è stato introdotto da Donato Ferri, Managing Partner Consulting Europe West di EY Italy che ha delineato lo scenario di trasformazione del sistema industriale e produttivo nel quale si muovono attualmente le imprese.

Una parte ancora ridotta di imprese italiane, infatti, sono entrate in un acceleratore di innovazione che ha consentito loro di sviluppare il proprio business e al contempo di internazionalizzarsi.

Sono aziende che hanno concentrato i propri sforzi in investimenti in tecnologia dati (impiegano il 15% in più di lavoratori specializzati in R&D e il doppio dei lavoratori legati all’IT), sono in grado di attrarre le migliori competenze scientifiche, ma soprattutto si dedicano a 360 gradi all’export (che vale un aumento della redditività del 15-30% rispetto alle imprese omologhe che non operano nella stessa direzione). Ed è proprio quest’ultimo punto che rappresenta un elemento chiave che richiede capacità di movimento diverse dagli anni passati, ma che conferisce poi maggiore agilità e capacità di dominare l’incertezza.

Il successo del modello globale di crescita è dimostrato in modo evidente dall’andamento dell’export: nel 2021 le esportazioni italiane di beni sono aumentate, rispetto all’anno precedente, del 18,2%, per un valore complessivo di 516 miliardi, e nel 2022 si è registrata una crescita ulteriore del 10,3%. I settori maggiormente improntanti all’export (dati 2021) includono la manifattura di macchinari e apparecchi (che cubano il 16.8% del valore esportato), la metallurgia (12%), il settore dell’abbigliamento e della moda (10.62%), il settore automobilistico e degli altri mezzi di trasporto (10.16%) e il settore alimentare (8.56%).

Un altro aspetto da tenere in considerazione è che i costi della non trasformazione sono ancora più evidenti per realtà imprenditoriali di più piccola taglia. Per le microimprese italiane, adottare un modello di crescita locale comporta una diminuzione della flessibilità produttiva del 60% e delle collaborazioni/partnership con altre aziende del 55%. Lo stesso vale per gli accessi a nuovi mercati: solo il 7% delle microimprese basate sul modello locale hanno la possibilità di ampliare il loro bacino di consumatori in mercati nuovi, contro il 45% delle microimprese internazionalizzate.

A questo si aggiunge poi un secondo punto cruciale che interessa il percorso di trasformazione delle imprese italiane (ma non solo): la sostenibilità, in particolare l’esigenza che le due transizioni (digitale ed ecologica) si integrino producendo valore. Quando parliamo ad esempio di transizione energetica le imprese hanno bisogno delle migliori tecnologie dati (un esempio evidente è il settore del packaging che molti sforzi ha dedicato a questo processo di innovazione sostenibile e che nel 2022 ha recuperato più di 10 punti di competitività rispetto ai competitor tedeschi).

Sul tema è intervenuto poi il Ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso sottolineando l’importanza per il sistema Italia di dare vita a una politica industriale strutturale, complessa e rigorosa che dia la spinta al tessuto produttivo nazionale, e che verrà presentata nel 2024 durante gli Stati Generali dell’Industria (quando ovvero l’Italia sarà presidente del G7) per offrire agli investitori esteri un ventaglio solido e attrattivo di opportunità.

Percorso che, secondo il Ministro, è iniziato già in questi primi mesi di governo grazie a degli interventi mirati:

  • il decreto simbolo che ha permesso di salvare l’Isab di Priolo salvaguardando la filiera chimica;
  • il decreto per il salvataggio dell’ex Ilva;
  • il disegno di legge per il riordino degli incentivi nazionali e regionali che possono creare un indirizzo univoco di politica industriale;
  • il disegno di legge sul Made in Italy che mira a rafforzare le filiere strategiche che si fanno largo nel mondo.

O ancora i due disegni di legge che verranno emanati prima della fine dell’estate riguardanti il primo il riordino del settore dei carburanti e il secondo un provvedimento che disincagli crediti deteriorati a beneficio di piccole e microimprese. Infine, due decreti legge, uno sugli asset strategici e l’altro sui chip semiconduttori (quest’ultimo per essere il primo Paese a recepire il Chips Act europeo in via di emanazione), e una legge nazionale sullo Spazio sulla quale il governo sta serratamente lavorando.

A portare il punto di vista delle imprese in questo secondo panel ci hanno pensato Andrea Illy, Presidente IllyCaffè, Sergio Marullo di Condojanni, Amministratore Delegato di Angelini Industries, Paolo Scaroni, Presidente Enel e Alberto Vacchi, Amministratore Delegato IMA S.p.A, concentrandosi su quale debba essere la visione delle aziende in merito alla sostenibilità in senso ampio e declinata nelle sue accezioni di transizione energetica e innovativa.

Secondo Andrea Illy il mondo privato può e deve diventare un modello nel percorso di transizione energetica ed ecologica, pena la perdita di competitività. Tuttavia, va capito come rendere quest’idea concreta, e a tal proposito per il numero uno di IllyCaffè ci sono tre priorità: capire di cosa si parla, agire e poi misurare.

Certo, gli ostacoli sono molti. Ad esempio, va posta l’attenzione sulla sostenibilità agro-ecologica: oggi il 50% delle terre abitabili sono convertite all’agricoltura (un secolo fa solo il 25%) e il 70% dell’acqua viene consumata per le attività ad essa legate. Dobbiamo attuare un cambio di paradigma, e ogni tassello va fatto contemporaneamente e congiuntamente. L’obiettivo non deve essere quello di ridurre i consumi, bensì trovare il modo di renderli più efficienti e sostenibili e per fare ciò serve anzitutto la conoscenza. Stiamo parlando infatti di materie interdisciplinari e vanno affrontate sotto tutte le angolature. Ma importanti devono essere anche le politiche industriali del governo: servono investimenti massicci e coraggio, solo così si potrà dominare il fenomeno.

Anche secondo Paolo Scaroni la sostenibilità è tema centrale (declinata in particolare nella transizione energetica di competenza del nuovo numero uno di Enel) ma va affrontata senza demagogia. I produttori di energia sono in prima fila da questo punto di vista, ma la rivoluzione energetica è ancora agli inizi. Le rinnovabili rappresentano una percentuale ancora troppo bassa rispetto ai nostri consumi, e per raggiungere l’obiettivo del net zero entro il 2050 bisognerà elettrificare il 50% dei consumi energetici contro il 20% attuale. Ed è uno sforzo che riguarda tutti. Al contempo però, tutto questo si intreccia con necessari sforzi geopolitici.

In questo scenario le imprese dovranno realizzare investimenti ciclopici. Secondo una stima da qui al 2030 dovranno essere investiti più di 500 miliardi in Europa nelle reti elettriche. E questi investimenti richiedono anche da parte dei governi capacità finanziarie mai viste fino a questo momento.

Per Sergio Marullo di Condojanni c’è una grande urgenza di innovare. L’innovazione è infatti la chiave che può cambiare l’Italia, partendo da quegli stessi ricercatori che troppo spesso sono costretti ad andare in altri Paesi. C’è bisogno di estrarre dalle università tutto il potenziale inespresso riguardo alla ricerca scientifica. Il mondo della salute molto ha a che vedere con la sostenibilità e incoraggiare l’innovazione risulterà centrale. Stiamo vivendo un’epoca di grandi cambiamenti culturali che dovranno essere affrontati. E un grande passo in avanti in tal senso sarà fatto quando la funzione di chief sostenibility officer nelle aziende non esisterà più, perché significherà che il tema è radicato nel mindset delle persone, dei cittadini.

Infine, anche Andrea Vacchi ha portato il suo punto di vista sul tema da numero uno di un’azienda che proprio dell’innovazione fa l’elemento centrale. Innovazione digitale che, nella sua personale esperienza, ha consentito di equipaggiare macchine con sistemi di controllo e di affrontare sfide in settori cruciali rendendo l’azienda più competitiva anche in periodi complessi, e che dovrà fondersi con la sostenibilità (come è successo per il settore del packaging). È solo abbracciando questi cambiamenti che le aziende riusciranno a rimanere sul mercato.

A chiusura del secondo panel, infine, è intervenuto Carlo Bonomi, Presidente di Confindustria, portando nella discussione qualche interessante dato: 80 miliardi è stato infatti il costo energetico complessivo sulle imprese della guerra, che molto ha condizionato l’export italiano. Nonostante ciò, il 2022 è stato un anno record per il Paese con un +9,4% nelle esportazioni e ulteriori 100 miliardi di potenziale da sfruttare in USA e nei Paesi asiatici. All’export si aggiunge però anche l’organizzazione di imprese e filiere, con particolare attenzione alla grande sfida dell’accorciamento e rafforzamento delle filiere. In questo contesto le imprese hanno bisogno di una spinta a investire attraverso una politica industriale coerente, oltre all’utilizzo del PNRR come leva, e in questo senso centrale sarà il grande piano di investimenti per la transizione 5.0 che ci potrà consentire di inserirci competitivamente tra USA e Cina.

Qualità e quantità negli investimenti: come costruire un Paese più attrattivo in un contesto internazionale?

Il terzo e ultimo panel ha affrontato il tema di come rendere l’Italia maggiormente attrattiva per gli investimenti diretti esteri. A delineare lo scenario ci ha pensato Marco Daviddi, Strategy & Transactions Managing Partner di EY in Italia.

L’Italia si è fatta trovare pronta a cogliere una serie di opportunità che hanno portato ad un consistente incremento di Investimenti Diretti Esteri (IDE) nel nostro Paese (243 progetti, +17%). Al contempo va tenuto presente che nel 2022 la crescita di IDE si è mantenuta rilevante, ma molto meno accentuata rispetto a quanto osservato nel 2021. La sfida è dunque cogliere tutte le opportunità che l’Italia ha in modo trasversale, come il PNRR integrato con la nuova programmazione dei Fondi EU e il Green Deal Europeo, per agire sugli elementi di criticità e freno e per assicurarci la capacità di attrarre investimenti, che significano lavoro, occupazione e stimolo alla crescita per le aziende domestiche, in misura adeguata al ruolo che il nostro Paese esercita nel contesto internazionale, specialmente in Europa. Anche perché, come detto in precedenza, l’Italia fa fatica a scalare la classifica in termini di quota di mercato, pari al 4%. Francia, Regno Unito e Germania continuano ad attrarre la maggior parte dei flussi di IDE, rappresentando il 50% del totale, anche se in contrazione rispetto allo scorso anno. Ci sono Paesi che come il nostro stanno catturando una serie di opportunità connesse a quello scenario geopolitico ed economico da cui siamo partiti: Spagna, Portogallo, Turchia, Polonia che con politiche fiscali aggressive, costo del lavoro contenuto e incentivi stanno crescendo più del nostro Paese e attraggono un numero di progetti simile.

Dalla survey che è stata condotta da EY emerge in particolare anche un altro elemento da tenere in considerazione: dal punto di vista geografico gli IDE si concentrano prevalentemente al Nord Ovest (57%), anzi più precisamente in Lombardia (quasi il 50% del totale), dove si trovano alcuni dei distretti industriali più attrattivi. C’è quindi una rilevante polarizzazione. Seguono Lazio (20 progetti, 8%) e Piemonte (18 progetti, 7%). Si rileva comunque un aumento degli investimenti nell’area del sud Italia, con un ruolo guida della Puglia (che ha visto 15 progetti nel 2022 rispetto ai 3 progetti del 2021).

Tra i settori nei quali più si concentrano gli investimenti, invece, troviamo quello dei servizi che si conferma in questa fase motore trainante della nostra economia. Circa il 19% dei progetti di investimento diretto estero insistono in questo settore, rispetto a circa il 12% nel 2021, esprimendo una crescita di circa l’80% in termini di numero di progetti anno su anno.

In ogni caso c’è fiducia nel futuro. Circa il 57% degli intervistati ritiene che l’Italia nei prossimi 3 anni possa incrementare la propria attrattività. Poco più del 10% degli intervistati, per contro, ritiene che ci sarà una flessione della capacità di attrazione di investimenti del nostro Paese. Non è una percentuale significativa, ma ad ogni modo tra le principali motivazioni espresse c’è l’incertezza normativa. Per la prima volta, il tema della riduzione della forza lavoro, effetto del trend demografico in atto, acquista rilevanza tra le risposte inerenti all’evoluzione attesa nel nostro Paese.

Al contempo però gli intervistati riconoscono alcuni punti di attenzione. Il 35% degli investitori intervistati (rispetto al 70% del 2021) ritiene che la principale area su cui i policymaker italiani dovrebbero intervenire siano l’abbassamento dell’imposizione fiscale su consumatori e imprese, seguito dalla riduzione del costo del lavoro. Emergono, tra le aree su cui indirizzare politiche attive a supporto dell’attrattività, il miglioramento della qualità della vita nei contesti urbani, un maggior supporto ai processi d’innovazione e alle nostre PMI.

Sul tema sono intervenuti poi Massimo Scaccabarozzi, Presidente Fondazione Expo 2030 e Ivana Semeraro, Partner di Icon Infrastructure.

Secondo Massimo Scaccabarozzi gli investitori esteri hanno una visione positiva del nostro Paese, soprattutto in termini qualitativi. Ma ci sono anche aspetti migliorabili, in particolare le infrastrutture e dare una maggiore certezza regolatoria. A dare lustro all’Italia negli occhi internazionali ci potrebbe essere poi il grande evento di Expo 2030 a Roma, opportunità, secondo il numero uno della Fondazione, che rappresenterà la conferma del buon lavoro e del ruolo dell’Italia nel mondo, con altresì un apporto economico superiore a 50 miliardi.

La certezza regolatoria è una delle chiavi per aumentare l’attrattività del sistema Italia anche per Ivana Semeraro, oltre a investire tutti i fondi del PNRR nei tempi previsti, e una netta semplificazione dei processi amministrativi. Ma il punto di partenza è confortante. L’Italia presenta infatti un tessuto industriale, soprattutto manifatturiero, affermato, ma anche un ruolo di leadership nella transizione energetica e nella sostenibilità.

A chiusura dell’evento è intervenuto infine il Ministro della Difesa, Guido Crosetto delineando lo scenario internazionale dal suo prezioso osservatorio. Secondo il Ministro, il numero e la varietà di PMI è un elemento di vitalità per il nostro Paese, in grado in momenti di crisi di consentirci di non perdere produzione e ripartire con maggiore velocità. Ma anche le aziende più dinamiche e innovative non potranno essere competitive se il sistema Italia non si adeguerà ai tempi sotto tutti i punti di vista: fiscale, tributario, burocratico, del mercato del lavoro. C’è bisogno di costruire un Paese che incentivi lo sviluppo economico. Anche nell’industria della difesa sono presenti tecnologie e capacità che posizionano l’Italia tra i primi Paesi al mondo. Ma non basta. Servono infrastrutture migliori (sia fisiche che digitali), possibilità di investire in ricerca, tecnologia e persone, un sistema universitario che investa ancora di più, e infine la necessità che lo Stato che si adegui a questa crescita. La crescita dipenderà dalla capacità industriale, produttiva, innovativa e dal coraggio imprenditoriale, ma c’è al contempo bisogno di uno Stato efficiente per attrarre le migliori energie e persone per competere con il mondo.

 

Summary

Siamo qui perché tutti i dati ci mostrano che l’Italia dispone di una finestra stretta per accelerare in modo profondo la propria trasformazione”.